Patanjali è considerato il padre dello Yoga e colui che ha messo per iscritto tutti gli antichissimi insegnamenti di questa disciplina, si racconta sia vissuto intorno al 500 a.C e che la sua opera più grande siano i Sutra, in sanscrito significa “aforismi” e ognuno contiene un profondo significato che guida l’uomo verso una conoscenza della sua natura. In questa opera Patanjali illustra tutti gli aspetti della vita come il corpo, la mente, lo spirito, i principi etici e morali. Gli Yama fanno parte degli 8 passi ( ASTHANGA) dello Yoga, sono cinque comandamenti morali che regolano la vita e comprendono la non violenza ( Ahimsa), la verità (Satya), l’onestà ( Asteya)verso sè stessi soprattuto, la castità (brahmacarya) intesa come non essere succubi degli istinti e la non possessività (Aparigraha) cioè il distacco dai desideri. I cinque Yama sono comportamenti legati allo stile di vita del singolo individuo da coltivare per migliorare se stessi.. Il primo gradino per comprenderli , in coloro che si avvicinano o praticano yoga è quello di analizzarli osservando il nostro corpo. Il primo passo per comprenderci deve partire dall’ascolto del corpo. Che cosa significa? Quando eseguiamo una posizione yoga il nostro corpo è “costretto” in un’ immobilità e in una postura precisa, spesso il corpo si deve adattare e rimane difficile mantenere l’immobilità per molto tempo, quindi già trovare e capire il nostro limite ci pone delle basi solide da cui partire. Il primo Yama è la non violenza quindi se non accettiamo i limiti che il nostro corpo ha e lo forziamo rischiamo di farci male, una pratica costante, senza forzare ci porterà ad attuare questo primo principio. Il secondo Yama riguarda la verità, ci porta sempre a considerare la relazione con il corpo e a non mentire a noi stessi, vedere come realmente stanno le cose, ascoltare le sensazioni e i segnali che il corpo ci invia. Il terzo yama, Asteya ossia l’onestà, cioè coltivare l’intenzione di essere onesti verso il corpo, vederne i limiti e le abilità in modo preciso. Il quarto yama è la castità ossia il non essere succubi degli istinti e quindi se iniziamo ad osservare il corpo con onestà, inizieremo a non essere più soggetti ai suoi desideri o aspirazioni incontrollate, ma impareremo a prendercene cura con azioni amorevoli ( giusto riposo, giusta alimentazione…). L’ultimo yama , Aparigraha, il distacco, la non possessività, il primo passo per attuarla su noi stessi è non giudicarci, ma osservare in maniera distaccata. Applicare gli Yama ci porta ad essere consapevoli della realtà, libera la mente dal vortice dei pensieri confusi e ci mette in relazione con la nostra parte più istintiva, che è quella che ci dona chiarezza. Il corpo è solo l’aspetto esteriore di un’ asana ma se iniziamo ad applicare questi principi di Patanjali iniziero a fare un cammino consapevole che sarà sempre più profondo. Buona pratica!